Il Progetto delle Caritas di Caserta e Capua “Obiettivo Giovani”
Il 6 ottobre è stato presentato, in anteprima, presso il liceo Manzoni di Caserta il progetto Caritas “Obiettivo Giovani”. Ideato dalle Caritas di Caserta e di Capua coinvolgerà nei prossimi mesi, nella sua attuazione pratica oltre alle parrocchie anche le scuole del territorio
Chiediamo a Don Antimo Vigliotta, direttore della Caritas diocesana di Caserta, come è nato questo progetto e a quali bisogni si intende rispondere
Il progetto è nato dall’esperienza maturata in questi anni presso i vari centri di Ascolto delle due diocesi. Nei colloqui con i vari soggetti seguiti e dallo studio delle problematiche delle famiglie con cui si veniva a contatto è sorta la necessità di riflettere in maniera strutturata sulle problematiche giovanili. L’urgenza e la necessità di agire ci è stata inoltre mostrata dagli episodi di vandalismo, bullismo, dalle aggressioni nelle ore serali e notturne nelle zone della movida e anche in ambito scolastico. Un confronto diretto con gli altri uffici pastorali diocesani, in particolare con la pastorale giovanile e familiare e con i servizi sociali del territorio e altre associazioni locali che si interessano di prevenzione e di assistenza al disagio giovanile, ci ha confermato la validità del nostro progetto che è stato sposato pienamente dal nostro Vescovo per le diocesi di Capua e di Caserta e approvato da Caritas Italiana.

Qual è il vostro obiettivo nel prossimo futuro e quali saranno le vostre azioni?
Oggi iniziamo questo incontro con le scuole perché ci siamo resi conto che è necessario lavorare in rete con quelle che sono le agenzie educative sul territorio. E’ un progetto che costruiremo strada facendo. Per ora vi posso indicare cinque passaggi che ci siamo proposti:
Il primo è conoscere: conoscere i fenomeni di questo territorio, conoscere i giovani, i loro disagi, le difficoltà, ma anche le risorse perché i giovani sono le risorse, una bella risorsa del nostro territorio,
Il secondo è provare a realizzare degli interventi formativi
Il terzo è coinvolgere i giovani, che devono essere i veri protagonisti del proprio riscatto affinché il progetto si sviluppi a livello diocesano, ma anche parrocchiale e a livello delle scuole
Il quarto, supportare tutte quelle che sono le agenzie e le figure educative, incontrare i genitori, gli insegnanti, gli operatori caritas, poiché anche noi abbiamo bisogno di essere accompagnati, per capire quali sono le difficoltà, ma anche le risorse, i talenti per camminare insieme.
Alla fine, come quinto passaggio, proveremo umilmente ad offrire un sostegno in ambito educativo anche e soprattutto per quelle famiglie che sono in difficoltà.
Questo è in sintesi il progetto che seguiremo insieme. Non siamo da soli, ci sono varie figure professionali con competenze diverse che ci aiuteranno in questo cammino. Il gruppo di lavoro che si formerà promuoverà una connessione con la famiglia e il territorio attraverso laboratori, assemblee, testimonianze, colloqui e seminari. Già sono stati realizzati alcuni focus group nelle due diocesi. In questo cammino siamo e saremo accompagnati da Caritas Italiana

L’intervento del Vescovo Pietro
Mons. Lagnese ha iniziato il suo saluto narrando di aver incontrato il parroco e i compagni di un giovane che da poco ha perso la vita in un incidente stradale: Giuseppe Sanfelice, investito da un’auto mentre era sul suo motorino. Un ragazzo della stessa età dei giovani presenti. E il suo pensiero, ha sostenuto, è sempre rivolto a tutti i ragazzi che vivono situazioni di sofferenza come i suoi amici, che in questo momento sono nel dolore. Il suo secondo pensiero, ha continuato, riguarda ciò che è sotto gli occhi di tutti: i giovani che in Italia si sono mobilitati per esplicitare la propria indignazione per quanto è avvenuto e sta avvenendo nella Striscia di Gaza. Al di là dei fenomeni violenti senz’altro deplorevoli, questa indignazione è senz’altro una cosa importante, positiva, perché significa che i giovani italiani non sono chiusi, come a volte nell’immaginario vengono descritti, nel mondo dei loro social, ma si lasciano interpellare dai fatti della vita e della storia e hanno gridato il loro no ad ogni forma di violenza e il loro no alla guerra. Il popolo PRO PAL, come è stato definito, ha affermato, deve essere ascoltato e deve diventare il popolo PRO PACE in tutti gli angoli della terra. Sono più di 53 i popoli nei quali si fa esperienza di guerra!
Il progetto della Caritas, ha affermato, è molto interessante perché con questo si vorrebbe far sì che i nostri giovani acquistino sempre più una capacità di coinvolgimento nella vita, nei problemi, nelle difficoltà, nei disagi, diventando protagonisti. Lo scopo è creare una continua sinergia, collaborazione, affinché insieme alla scuola, alla famiglia si possa lavorare per il loro bene, per sostenere tutte quelle situazioni di disagio che esistono nell’ambito giovanile, portandoli a scoprire il gusto e la passione per la vita. L’idea che la scuola sia il luogo dell’apprendimento è un’idea molto riduttiva: la scuola è il luogo dell’apprendimento del sapere nel senso vero del termine. Il verbo sapere, nell’accezione latina, significa “sentire il gusto della vita”, il sapore del bene, dell’impegno. Questo è ciò che si deve favorire insieme ai docenti. Dunque, accanto all’indignazione, alla voglia di mettersi in gioco con la speranza che le cose possano cambiare, bisogna avere uno sguardo positivo e aprirsi a fenomeni di disagio che sono accanto a noi, senza che ce ne accorgiamo, talvolta scoprendoli solo quando è molto tardi, perché, chiusi nel nostro mondo e isolati, non abbiamo saputo avere uno sguardo aperto ed ampio. Questo progetto vuole proprio mirare a questo: aiutarci a scoprire che davvero noi qui stiamo costruendo il bene non solo nostro, ma di questo straordinario paese che è l’Italia, e lo costruiamo aprendoci tutti a una conoscenza ma anche a un coinvolgimento, per cui il moto del grande don Milani “I care” diventa il motto di tutti: mi importa, mi interessa, mi sta a cuore. Mi stanno a cuore i disagi, le ingiustizie, le cattiverie, gli egoismi, le prepotenze; mi sta a cuore la vita. Questo progetto vorrebbe contribuire, per quanto possibile, a che cresca sempre di più la passione, il gusto per la vita e quindi possa favorire il coinvolgimento di tutti noi, affinché ognuno possa fare la propria parte affinché nessuno possa mai sentirsi solo.
Il progetto Caritas “Disagio giovanile ed educazione digitale” illustrato dal dott. Domenico Iannascoli
E’ il dott. Iannascoli, neurologo, volontario caritas da molti anni, ad illustrare un percorso sul “Disagio giovanile ed Educazione Digitale”, nato , in sinergia con l’Università Vanvitelli, all’interno del progetto più ampio di collaborazione con le scuole. E’ un progetto nato da già da diversi mesi e che si è voluto ispirare a una logica di rete, nel senso che si è pensato di coinvolgere diversi attori e soggetti del territorio coinvolti a qualunque titolo nel disagio giovanile per cui sono stati avviati dei focus group in alcuni territori, sia di Capua, Castelvolturno e Caserta con la presenza di alcune personalità per discutere e confrontarsi su quello che è un fenomeno che sta diventando assolutamente preoccupante. Si è iniziato quindi ad approfondire il problema raccogliendo tutta una serie di studi. Sconvolgente sono stati i dati appresi sul fenomeno dei suicidi tra i ragazzi dai 14 ai 24 anni, seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali, in gran parte derivanti da problematiche psico affettive. Certo il bersaglio più facile è la famiglia che indubbiamente ha la sua responsabilità, con genitori a volte troppo assenti e a volte troppo amici, ma a volte assalita da una frustrante e rassegnata impotenza a gestire cambiamenti epocali come quelle delle nuove tscnologie. Studi statistici hanno evidenziato come l’uso dei dispositivi abbia raggiunto 6-7 ore al giorno (in pratica, tolte le ore di sonno, è quasi il 50% del tempo). Ne nascono tutta una serie di disturbi che vanno dalla semplice melanconia alla sindrome di Hikikomori. Cosa fare? Sicuramente esiste un problema sociale che chiede delle risposte e la scuola in quanto luogo di formazione, per eccellenza, è chiamata in causa. Ecco, noi vorremmo porci in ascolto, comprendere se ed in che misura sia possibile dare una mano, una sorta di “alleanza educativa”, assieme ai Dirigenti, docenti, genitori, realtà associative, universitarie ed auspicabilmente istituzionali.
“ In pratica si tratta di partire con un primo pilastro operativo, una sperimentazione didattico-laboratoriale, che per ovvi motivi, dovrà essere circoscritta ad un numero limitato di classi (max tre: una prima, una terza ed una quinta). Prevede quattro incontri di due-due ore e mezza, con cadenza mensile (Novembre-Febbraio). Nella prima ora, in maniera interattiva, parleremo dei meccanismi basilari di funzionamento del sistema “Corpo-Mente”, in una fase della vita, ricordiamo, di estrema plasticità e vulnerabilità del S.N.C, specie in relazione all’abuso delle nuove tecnologie. Seguirà il tema delle emozioni, che rappresentano uno dei canali principali dell’apprendimento, in quanto vanno ad influenzare una serie di funzioni intellettive, come la motivazione, la capacità di concentrazione e la memoria stessa. Diventa importante riuscire a riconoscerle e gestirle ed è decisivo almeno quanto il quoziente intellettivo. Nel terzo incontro affronteremo il rapporto tra ragazzi e l’universo dei Social e lo sviluppo delle dipendenze da dispositivi ed infine illustreremo le principali problematiche adolescenziali (dal bullismo, all’autolesionismo, etc.).
La seconda ora, sarà dedicata ai laboratori, che stiamo concordando con la Dott.ssa Serafini, suddividendo i ragazzi in tre gruppi, su alcuni temi specifici ancora in corso di definizione: esperienze personali nell’uso dei dispositivi nella propria quotidianità, con mini relazioni conclusive, in termini di impegno; riconoscimento e gestione delle emozioni; come lavorare sull’autostima; riflessione su esperienze proprie o di altri in merito a problematiche psicopatologiche. In conclusione di questa fase, immaginavamo nel periodo febbraio – aprile (incluso), tre mesi di sperimentazione sui comportamenti suggeriti nell’uso dei dispositivi e dei Social, con confronto conclusivo nel mese di Maggio.
Questo primo step è già immediatamente disponibile a partire da Novembre.
Il secondo e terzo e tutto da costruire insieme, uno Sportello di Ascolto, con il concorso dei docenti, dell’Università ed in base alle risorse di psicologi disponibili, alcuni anche nostri della Caritas, considerando che dovremmo lavorare su due Istituti. Uno sportello, eventualmente da istituire presso la sede Caritas, per una maggiore privacy. Lo decideremo insieme, anche perché dovrebbe avere una duplice funzione:
- Orientare, i ragazzi verso attività “pro-sociali”, in particolare del mondo Caritas, ma non solo, la gestione nella diffusione del questionario di cui vi parlerà Emily o qualunque esigenza dovesse emergere dal corpo docente o dai ragazzi. Sarà gestito da animatori della Caritas.
- Su segnalazione dei docenti, accogliere studenti con problematiche specifiche che richiedano un supporto professionale, da cui far discendere eventuali percorsi psicoterapici o di gruppo.
Terzo pilastro, nell’ottica di un impegno globale, coinvolge le famiglie dei ragazzi, attraverso la creazione di Focus Group, guidati da psicologi, con incontri a cadenza da concordare.
Ecco, nell’avviarmi alla conclusione, mi piacerebbe che crescesse trai ragazzi un clima di reciproco sostegno, proprio perché chi meglio di voi può venire a conoscenza dei momenti di difficoltà di un vostro compagno, magari lo avete proprio affianco nel banco. Aiutarli a non aver paura nel farsi avanti se hanno qualche problema, questo è la prima forma di prevenzione per segnalare un problema. Ovviamente è imprescindibile il contributo determinante dei docenti, che non possono sostituire la funzione educativa dei genitori, né tanto meno chiedere loro ulteriori competenze, ma acuire i radar, forse questo sì, nella funzione di promuovere umanità e benessere nei ragazzi, il cui futuro è nel cuore di ciascuno di loro, ma anche nella nostra responsabilità. Ecco spero davvero che questo progetto getti le basi di una proficua collaborazione, ripeto siamo, come si dice, “work in progress”, un cantiere aperto, disponibili ad accogliere indicazioni e suggerimenti.
Focus Group: i risultati dell’indagine esposti dalla dottoressa Emilia Serafini
La dottoressa Emilia Serafini, psicologa, ha illustrato i risultati di un’indagine condotta dalle Caritas di Capua e di Caserta nell’ambito del progetto OBIETTIVO GIOVANI, volto a comprendere le condizioni di vita dei giovani dai 14 ai 18 anni nei territori di Capua, Caserta e Castelvolturno. L’indagine si è basata su tre focus group territoriali (uno per città) che hanno coinvolto scuole, parrocchie, associazioni, forze dell’ordine, famiglie e giovani. L’obiettivo che si sono proposti è stato ascoltare il disagio giovanile e proporre strategie educative, pastorali e sociali. Gli incontri hanno segnalato risultati comuni in tutte le realtà studiate: innanzitutto una crisi del ruolo educativo degli adulti. Questo si rispecchia soprattutto in una crisi della famiglia e della genitorialità: le famiglie si presentano fragili, disgregate e assenti; i genitori sono spesso privi di autorevolezza e incapaci di esercitare un ruolo educativo. Ci sono genitori che non riescono a dire di no, confondendo il permissivismo con l’amore; ne derivano deleghe eccessive alla scuola o ai media e agli specialisti (ad esempio agli psicologi), con i giovani costretti a maturare troppo presto. Mancando adulti di riferimento credibili e disponibili, gli adolescenti si sentono inascoltati e invisibili, e il loro bisogno principale diventa quello di relazioni autentiche e di ascolto, mentre invece si chiudono sempre più in loro stessi. La scuola funziona un po’ come presidio, ma in sofferenza: non può sopperire a tutto, ha bisogno di alleanze educative con la famiglia e il territorio. I primi segnali di questo disagio si manifestano nei giovani come ansia, apatia, aggressività, autolesionismo e ritiro sociale. Spesso i giovani si mostrano incapaci di esprimere le proprie emozioni. Si rifugiano nei social media in un isolamento digitale. Ma l’universo online crea dipendenza, confronto costante, ansia da prestazione e perdita del senso di realtà; i modelli proposti (influencer, successo facile, perfezione estetica) alimentano sempre più l’insicurezza. Oltre ai risultati comuni nei vari gruppi di ascolto si sono evidenziate anche differenze dovute al territorio: a Castelvolturno molto influisce l’isolamento geografico, l’assenza di trasporti e di spazi di aggregazione; a Caserta e Capua il disagio è più relazionale e psicologico che logistico. Da questa indagine sono nate delle proposte e delle piste di lavoro: creare spazi di ascolto e dialogo per i giovani, sostenere la genitorialità con formazione e accompagnamento, costruire reti operative tra scuola, famiglia, parrocchia e servizi sociali, promuovere esperienze di partecipazione attiva (volontariato, sport, cittadinanza), contrastare l’isolamento digitale e potenziare le occasioni di socialità reale, ridurre le diseguaglianze territoriali, in particolare nei contesti fragili come Castelvolturno. L’indagine ha presentato un’immagine di giovani fragili ma ricchi di potenzialità e desiderosi di essere ascoltati e valorizzati. Le Caritas diocesane intendono proseguire con un questionario rivolto ai giovani direttamente, per ampliare la ricerca e trasformare l’ascolto in azioni concrete di accompagnamento e crescita comunitaria. È stato quindi elaborato un questionario rivolto ai ragazzi tra i 14 e i 19 anni che sarà distribuito ai ragazzi e il cui obiettivo è raccogliere opinioni, esperienze e punti di vista su temi che riguardano la vita quotidiana, la famiglia, la scuola, le relazioni, i social, le difficoltà e i sogni per il futuro. Le risposte, certamente in forma anonima, aiuteranno a capire meglio la realtà dei giovani e a costruire percorsi di ascolto e cambiamento.
Il contributo Università della Campania “L. Vanvitelli” presentato dal professor Sebastiano Costa
È stato presente, per l’Università della Campania “L. Vanvitelli”, il professor Sebastiano Costa, ordinario di psicologia dello sviluppo e dell’educazione presso il dipartimento di Psicologia, che ha riportato tutto l’entusiasmo del dipartimento ad aderire al progetto e a offrire il proprio contributo.
Per noi le tematiche del benessere degli studenti e del disagio giovanile sono il focus su cui lavoriamo dal punto di vista scientifico, didattico e formativo. Da sempre siamo attenti e cerchiamo il più possibile di collaborare con il territorio per valorizzare le esperienze acquisite attraverso la ricerca scientifica e quelle che tutti i nostri docenti svolgono per trasformarle in attività pratiche al servizio della comunità. Dall’Università sono state stipulate diverse convenzioni anche con il mondo scolastico su questi temi. Questa è l’occasione per continuare in questa linea.
Nel progetto che la Caritas ha presentato ci sono i presupposti per dare un grosso contributo alle scuole che aderiscono, e speriamo anche noi di poter offrire un apporto in tal senso. Il disagio giovanile è diventato il tema elettivo per il nostro Ateneo, al punto che per i nostri studenti è stato attivato un servizio di supporto psicologico e si parla sempre di più di benessere studentesco, cosa impensabile in passato, poiché si è capito che non si devono trasmettere solo contenuti, ma guardare gli studenti a 360 gradi.
Abbiamo compreso che a volte alcuni studenti hanno difficoltà nei loro percorsi accademici non per la materia in sé, ma perché vivono un disagio. A volte vengono loro richieste “performance” talmente rigide da creare ansie e difficoltà, traguardi sempre maggiori da raggiungere, per cui un piccolo fallimento diventa una difficoltà; una bocciatura, una tragedia. Molti atteggiamenti che osserviamo nei giovani sono espressione di questo disagio. Il disagio è sempre esistito, ma oggi assume caratteristiche peculiari e noi dobbiamo dotarci di strumenti adeguati per gestirlo nel migliore dei modi.
Il progetto che la Caritas ha ideato si muove in questa logica: capire le difficoltà dei giovani e aiutarci anche a capire come gestire questo disagio. Anche noi riteniamo che i focus sul disagio giovanile siano essenziali. Una frase che usiamo spesso è che lo studente diventi “agente di cambiamento”. Cosa significa? Significa che diventino le prime persone in grado di cambiare le cose, per sé e per le persone intorno a loro. Significa che ciascuno ha la responsabilità di contribuire a favorire un clima educativo, un clima culturale e civico, dal microgruppo degli amici al macrogruppo dell’ambiente cittadino. Ciascuno può avere un ruolo significativo. Il fine del progetto è anche questo: capire che ciascuno di noi può fare qualcosa.
Per esempio si può diventare una “comunità di supporto” all’interno della comunità studentesca, perché alcune forme di disagio sono quelle più silenziose e nascoste e possono essere visibili solo a chi, nella quotidianità, nota che qualcosa sta cambiando; l’attenzione rivolta all’interno della stessa comunità può diventare supporto per aiutarci a vicenda. Non basta stare insieme: ciò che è fondamentale è la qualità della relazione. Se all’interno di una comunità non diventiamo solidali nei confronti dei bisogni dell’altro, siamo solo mera presenza all’interno dello stesso sistema, dello stesso ambiente.
Un’altra cosa che possiamo fare all’interno di una comunità è diventare competenti nel mondo delle emozioni. Bisogna prendere atto che nel mondo della mente, della psicologia, c’è confusione. Ancora oggi vediamo paura e barriere nel parlare del proprio disagio e nell’affrontarlo. Chiedere aiuto diventa, talvolta, espressione di debolezza. Come dipartimento speriamo di poter dare anche noi il nostro contributo per diventare sempre più presenti nel territorio e parte integrante della comunità territoriale.
di Rosaria Monaco – Il Poliedro Anno 10 – n. 9 ottobre 2025
